Prendere il volo. Nota pastorale per l’evangelizzazione in tempo di pandemia

La ripresa delle attività pastorali in questo tempo ancora dolorosamente segnato dalla pandemia dovuta al Covid-19, obbliga anche la Chiesa, come altre istituzioni, a ripensare se stessa e il proprio agire. La presente nota viene offerta come strumento finalizzato a facilitare il laborioso, ma avvincente processo di riflessione e di discernimento in vista di scelte pastorali sapienti, decise e condivise, scelte che possano segnare un inizio nuovo e lo stile della nostra missione ecclesiale per gli anni avvenire

Alcune premesse

Essere Chiesa senza convocazione?

1) L’attuale situazione di pandemia, sta minando alla base la nostra identità ecclesiale. Non è possibile, infatti (almeno non è possibile in pienezza) essere Chiesa, popolo convocato dall’amore Trinitario (LG), in un tempo in cui la “convocazione” è limitata dalle pur necessarie restrittive norme di contingentazione. Eppure proprio questa è la sfida: trovare forme di convocazione, in tempo di distanziamento fisico-spaziale e di limitazione numerica, che possano continuare a dare visibilità, concretezza, fecondità all’essere Chiesa. In una situazione del tutto inattesa, che fa saltare i consueti punti di riferimento, sarà necessario trovare nuovi punti di gravità attorno ai quali far ruotare la comunità cristiana onde evitare la dispersione, che oggi appare il vero démone in agguato.

Tempo di emergenza e “bene delle anime”

2) In tempo di emergenza possono essere sospese, tutte le modalità legittime e fruttuose che la Chiesa si è data per svolgere nel tempo la sua missione. Su alcuni principi sacramentali e teologico-pastorali occorrerà soprassedere, altri dovranno essere rivisitati, e la creatività pastorale sarà chiamata a dotare la Chiesa di nuovi strumenti per dirsi e darsi come segno e strumento di salvezza per ogni uomo.

Lo stesso diritto canonico prevede che in caso di necessità si possa e si debba poter derogare dalla normativa vigente, per poter salvaguardare lo scopo ultimo e supremo della Chiesa: “il bene delle anime”. Questo è compito riservato al Vescovo, alle conferenze episcopali, alla Santa Sede. Non di meno, piccoli deroghe possono essere adottate anche dalle singole parrocchie sempre con l’approvazione del Vescovo.

Agire in comunione

3) Se agire in comunione è lo stile ecclesiale in ogni luogo e in ogni tempo, a maggior ragione nell’attuale inattesa situazione, è necessario far risplendere agli occhi di tutti la comunione spirituale e la sinergia pastorale che anima i pastori della Chiesa e i loro collaboratori. E’ aspetto non secondario della comunione anche una comune formazione che dia al clero in primo luogo e ai laici, soprattutto agli operatori pastorali, gli strumenti comuni e condivisi per decodificare i segni del nostro tempo e interpretarli alla luce del vangelo.

Un tempo favorevole

4) Accogliamo questa “ora” come un “tempo opportuno”, nel quale, se pur costretti dalla necessità, possiamo pensare in modo nuovo il nostro essere Chiesa: Corpo di Cristo che vive nel tempo.

Nell’annuncio fatto da Gesù, il tempo favorevole “il Regno dei cieli è vicino”, si coniuga con l’invito alla conversione “convertitevi” e la conversione  consiste nel “credere al vangelo”. Questo è e deve essere l’annuncio cristiano per ogni tempo, anche il nostro: il Regno, Il Vangelo, la conversione quest’ultima intesa non solo nel suo aspetto etico-morale, ma principalmente nel suo aspetto teologico e antropologico: un modo diverso di pensare Dio e di relazionarsi con lui, un modo diverso di cogliere il senso di cosa significhi essere uomini. Ognuno è chiamato a far risplendere sul proprio volto la luce radiosa di Dio che è amore trinitario. Compito della Chiesa è accendere nel mondo quel fuoco che Cristo è venuto a portare, è tener desta tra gli uomini quella fede che Cristo desidera trovare al suo ritorno.

Senza fretta

5) Anzitutto calma! Non è fruttuoso lasciarsi prendere da “ansia da prestazione”. Le molte incognite di questo tempo esigono che si resista alla tentazione di fare progetti affrettati e troppo dettagliati. Il  nostro Vescovo, il primo giorno dell’incontro pastorale, ci ha ricordato un’altra urgenza: “Vedere, ascoltare, pensare, … per discernere”. E’ bene darsi un tempo dilatato per vivere, assieme ai membri degli organismi di partecipazione, i religiose/e, gli operatori pastorali, i membri di associazioni e movimenti ecclesiali, questa preziosa indicazione. Le scelte che ne deriveranno non dovranno essere risposte emergenziali ad una situazione passeggera, ma scelte che dovranno impegnare le comunità ecclesiali a lungo termine per il prossimo futuro.

Nuova evangelizzazione, evangelizzazione nuova

Dall’inizio del terzio millennio Papa Giovanni Paolo II ha invitato la Chiesa a prendere il largo impegnandola in una nuova evangelizzazione. Essa però non può essere intesa solo come una nuova tappa dell’evangelizzazione o come la spinta a rinnovare l’impegno missionario dell’evangelizzazione, quanto piuttosto come l’apertura della mente e del cuore a trovare forme nuove di evangelizzazione, parole nuove per dire il vangelo, gesti freschi per dare visibilità alla fede. La fede cristiana non è solo una via di bene, né solo una ricerca del vero, è anche una via “pulchritudinis”, ricerca della vera bellezza. Forse è proprio questa via quella da proporre agli uomini del nostro tempo.

In questa ottica occorre tener presente che il cristianesimo è questione di “forma”.

Scopo dell’evangelizzazione non è indottrinare le persone  ma aiutarle a dare  forma evangelica alla propria vita, a conformarsi e configurarsi a Cristo.

Le mutate condizioni storico-culturali-antropologiche ed esistenziali, obbligano oggi a resettare la nostra pastorale, chiamandola ad una vera e propria conversione.

Se “evangelizzare significa creare le condizioni perché ogni persona si lasci amare dal Dio crocifisso e Risorto”, sarà necessario tenere presenti alcune priorità.

 

1. L’ascolto

 

La prima condizione della evangelizzazione nuova è l’ascolto. A molti dei suoi interlocutori Gesù si rivolge dicendo: “Cosa vuoi che io faccia per te?”.

L’annuncio del Vangelo deve essere preceduto/accompagnato da un ascolto vero, autentico, attento a ciò che le persone sentono e cercano, lasciando loro la possibilità di raccontare la propria vita con le sue ansie e le sue speranze, accogliendo con magnanimità chiunque voglia, pur ferito, dubbioso o incerto, incontrare Cristo, è lasciar andare liberamente, senza colpevolizzare nessuno, coloro che credono di poter realizzare la propria vita senza Dio. La fede cristiana è solo una proposta, esperienza libera e liberante.

Mettersi alla scuola del vangelo e nello stesso tempo della nostra gente nella convinzione che da entrambi si può e si deve imparare, non è solo un atto di umiltà, ma una sapiente scelta pastorale, per non rischiare dare risposte a domande che non ci sono, per saper discernere  – secondo la logica evangelica – quelle opportune da quelle che non lo sono e per sintonizzarsi sulle stesse frequenze dei nostri fedeli, sul loro modo di “sentire”. Pur tra mille squilibri, infatti, sotto la cenere può covare una genuina ricerca di Dio cui sarebbe imperdonabile non rispondere.

 

2. La relazione

 

A conclusione dell’incontro pastorale, nell’omelia della Dedicazione della cattedrale, il Vescovo ricordava la necessità di “azzerare le distanze affettive e relazionali”. Non può esserci evangelizzazione incisiva a prescindere dalle relazioni. Ogni occasione deve diventare opportunità per entrare in relazione con la gente: incontrare, salutare, dialogare, conoscere. Attendere, per esempio, i fedeli che si recano alla celebrazione eucaristica domenicale sul sagrato della chiesa per accoglierli, scambiare con loro qualche parola, potrebbe iniziare a marcare la differenza tra una comunità che si mette insieme nella indifferenza e forse anche nella diffidenza, e una comunità che attende e vive la gioia dell’incontro. Lo scopo “è fare della parrocchia una comunità ospitale, cioè gioiosa, articolata, coinvolgente”. La tradizione orientale si rivolge a Dio chiamandolo “amico dell’uomo”, a maggior ragione ogni parroco, ogni animatore pastorale dovrebbe essere anzitutto “amico” di tutti coloro che sono affidati alla sua cura. Per dare forma al mondo nuovo occorre essere convinti che “è dal legame che si può ripartire; non dal “si salvi chi può”, ma dal salvarsi a vicenda”. Oggi l’evangelizzazione cammina solo con le gambe della simpatia e dell’empatia. La relazione deve creare “fraternità”. Essa è il collante, lo stile e lo scopo di ogni comunità: siamo “tutti fratelli”.

 

3. Occasioni “fuori tempo” e “fuori luogo”

 

Non ci sono tempi e luoghi deputati all’evangelizzazione, ma ogni tempo e ogni luogo è opportuno per facilitare l’incontro degli uomini con Gesù via, verità e vita.

Creare situazioni informali di incontro, essere presenti nei luoghi che la gente ordinariamente frequenta, è lo stile della Chiesa in uscita che offre a tutti l’opportunità di entrare nell’esperienza della fede. Approfittare dei tempi che sono significativi per le persone: feste familiari, anniversari, momenti di gioia o di sofferenza e di lutto, è possibilità concreta per farsi prossimo e donare parole di vangelo. Senza trascurare l’anno liturgico, sarebbe proficuo valorizzare l’anno familiare con le ricorrenze care ad ogni famiglia.

 

4. Abitare il mondo, costruire la società

 

“Fuori dalla chiesa c’è tutto un mondo che attende di essere incontrato”. E’ il mondo del lavoro, della politica e dell’economia; il mondo della scuola; il mondo delle associazioni e del volontariato; il mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo; le case famiglia per i diversamente abili o per persone in difficoltà; le residenze per anziani, gli ospedali, i centri di recupero per chi è affetto dalle più diverse dipendenze; il mondo della marginalità, dei poveri, dei migranti, ecc. Tutto questo ci interessa, ci sta a cuore. In  questi “mondi” dobbiamo vivere portando la novità e la sporgenza del vangelo. Non possiamo più essere solo custodi delle nostre chiese, ma dobbiamo lasciarci mettere, dallo Spirito di Pentecoste, per le vie del mondo. Questo mandato è affidato ad ogni credente non solo al clero, anzi secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II è principale missione affidata ai fedeli laici (AA) i quali devono saper testimoniare la novità della vita in Cristo negli ambienti di vita che condividono con tutti gli altri. Lo stile della evangelizzazione nuova ci spinge ad “andare in cerca di quelli che “vogliono vedere Gesù” (cfr. Gv 12, 21), anche se non si imbattono nei nostri percorsi ecclesiali. Abbiamo sperimentato che la gente cerca Dio anche fuori di noi. Non perdiamo l’occasione di cercare Dio anche noi fuori dalla porta della chiesa,  e naturalmente nell’ascolto delle domande, delle ansie e delle attese delle persone che incontriamo”. A questo mondo che attende di essere incontrato abbiamo l’obbligo di donare Cristo e il suo vangelo e una Chiesa che sia davvero segno e strumento dell’amore di Dio.

 

5. L’annuncio prima e oltre la liturgia

 

Liberandoci da un certo pan-liturgismo, è possibile e necessario offrire a tutti anche momenti “formali” di evangelizzazione attraverso lectio divinae; catechesi a tema; confronto su tematiche di attualità; riflessione, alla luce della fede, sulle problematiche che stanno a cuore alle persone: l’educazione dei figli, l’economia, l’ecologia, il lavoro, le relazioni familiari e quelle intergenerazionali, ecc. La creatività pastorale non mancherà di saper trovare tempi e luoghi opportuni per queste iniziative, magari proponendoli anche al posto della celebrazione eucaristica di un giorno feriale.

I percorsi di formazione in preparazione al matrimonio, al battesimo, alla prima comunione, alla cresima dei propri figli dovranno essere ripensati con nuovo slancio e proposti con modalità più avvincenti e coinvolgenti.

Il servizio diocesano per l’evangelizzazione può mettere a disposizione, per chi ne facesse richiesta, suggerimenti, materiale e risorse umane a sostenere il lavoro delle parrocchie.

 

6. Casa e Chiesa: un binomio inscindibile

 

Questo binomio ci è stato familiare per molto tempo, era la cifra di un certo tipo di società, di un certo modo d’essere. Oggi casa e chiesa non sono più correlate come una volta, si è consumato un divorzio. Se si vuole ristabilire, almeno in parte, il connubio, è necessaria una inversione di rotta passando dalla direzione casa-chiesa, alla direzione chiesa-casa. Se prima era l’ambiente domestico a recarsi in chiesa, oggi è la comunità ecclesiale a doversi recare nelle case. Riconoscere davvero le famiglie come “chiese domestiche” darebbe nuovo slancio alla nostra pastorale mutando stili e priorità. Ciò non significa privare la comunità della sua importanza e della sua centralità nell’esperienza di fede, significa piuttosto che, se è necessario ricominciare, occorre ricominciare a partire dalle famiglie. Mettendo in atto tutte le precauzioni necessarie, sarebbe opportuno intensificare la visita alle famiglie, vivere con loro (nella gioia e nel dolore) i momenti significativi della loro esistenza; accorgersi per tempo dei momenti critici e farsi presenti prima che le situazioni degenerino. Quante volte Gesù entrava nelle case della gente per mangiare, insegnare, guarire, risuscitare i morti. Gesù non se ne stava tranquillo dentro una sinagoga aspettando che la gente andasse da lui, ma viveva per strada, visitava città e villaggi. Forse tra le necessarie conversioni pastorali occorrerebbe mettere in cantiere anche questa: il passaggio da una pastorale sedentaria ad una più itinerante. Il con-tatto, prudente e delicato, anche solo telefonico con le famiglie, crea un clima nuovo e positivo che può dare slancio e decidere del successo delle iniziative pastorali. Un rinnovato patto tra la comunità ecclesiale e le famiglie, una ritrovata “complicità” tra esse, è la via che offre futuro all’una e alle altre.

Sarebbe pure utile aiutare le famiglie a vivere l’esperienza di fede nelle proprie case invogliandole, anche offrendo sussidi, a riprendere la preghiera domestica, a valorizzare e celebrare momenti significativi della vita della famiglia in famiglia, a vivere e sperimentare tra le mura domestiche tutti gli atteggiamenti (perdono, riconciliazione, gratitudine, servizio, ascolto, ecc) che sono la grammatica della vita cristiana.

E’ bene fare in modo che le famiglie non siano considerate solo destinatarie della pastorale, ma che ne divengano protagoniste, attraverso un loro coinvolgimento anche nel momento progettuale delle iniziative parrocchiali e aiutandole a riappropriarsi del loro ruolo insostituibile nella trasmissione della fede ai propri figli.

 

7. Meeting dei giovani: una occasione per tutti

 

Da cinque anni i giovani della nostra Chiesa si trovano insieme per riflettere e confrontarsi, su tematiche di attualità e condividere insieme momenti di preghiera e di fraternità. E’ una vera e propria opportunità di crescita. Il rischio, però, è che tutto inizi e si concluda nei tre giorni del meeting.

Far precedere l’esperienza dell’annuale incontro dei giovani con degli incontri nei quali essi annunciano a tutti le tematiche che affronteranno e invitano i propri coetanei a vivere con loro l’esperienza del meeting; farlo seguire da dei momenti nei quali si racconta a tutti l’esperienza fatta, inserirebbe il meeting in una più vasta azione di evangelizzazione, divenendo esso stesso esperienza di trasmissione del vangelo con la freschezza dei giovani. Questo comporta la disponibilità da parte dei parroci e delle comunità loro affidate ad accogliere le iniziative che in questo senso la pastorale giovanile potrebbe lodevolmente mettere in campo, oltre a quella già consolidata della lectio divina.

 

8. Come gli uccelli del cielo

 

Siamo chiamati a vivere questo tempo, nonostante le preoccupazioni che genera, con la leggerezza, con la libertà, con la gioia del vangelo, aprendoci alla speranza del futuro e sottraendoci al peso e alla tristezza del passato.

Abbiamo bisogno di acquisire agilità spirituale e pastorale, possibile solo se sapremo custodire l’essenziale, e puntare al necessario, liberando noi stessi e i nostri fedeli da inutili fardelli.

Catechesi: itinerario per diventare cristiano

Fatta salva la necessaria attenzione alla attuale situazione di pandemia che ancora richiede molta prudenza e alle variabili che si verificheranno nel prossimo futuro, per quanto riguarda l’aspetto sanitario è  indispensabile attenersi scrupolosamente al protocollo di sicurezza e alle indicazioni date dalle autorità competenti sia civili che ecclesiastiche.

Le parrocchie che non potessero assicurare il rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza, è bene che si astengano dall’organizzare iniziative che coinvolgano i minori come pure gli adulti.

Dal punto di vista strettamente pastorale sarà opportuno riprogrammare le attività tenendo presente quanto si verificherà soprattutto nel mondo della scuola, con le inevitabili mutazioni degli orari, dei ritmi, delle alternanze, della didattica in presenza o a distanza, delle possibili quarantene, ecc. Quanto accadrà nella scuola inevitabilmente si rifletterà sull’organizzazione della catechesi.

Sarà doveroso informare le famiglie del tipo di attività in cui i ragazzi saranno coinvolti, dove si svolgeranno, con quali modalità e il calendario degli incontri. Meglio ancora se tutto questo sarà preventivamente concordato con i genitori interessati.

Pur prudenti, si eviti però l’inerzia attivando con generosità e zelo pastorale, quanto sarà possibile, puntando piuttosto sulla qualità che sulla quantità delle attività proposte.

“Attivare processi”  è oggi la parola d’ordine non solo di una rinnovata pastorale, ma anche di una nuova modalità di pensare e di proporre gli itinerari catechetici.

In questa sede non si vogliono dare indicazioni stringenti, ma solo stimoli per aiutare la riflessione.

I singoli parroci, se lo desiderano, potranno rivolgersi al servizio diocesano per la catechesi, per un confronto, per richiedere indicazioni pratiche più precise, per ricevere proposte di itinerari più strutturati con fornitura dei relativi sussidi.

 

1. Da un nuovo inizio, ad un inizio nuovo

 

Il tempo che viviamo sarà una opportunità favorevole solo se il nuovo inizio di questo anno pastorale, sarà l’occasione di un inizio nuovo, cioè di un inizio su basi nuove, accogliendo l’invito alla conversione pastorale che la Chiesa ci rivolge. Attendere la fine della pandemia per ricominciare a fare tutto come prima significherebbe non cogliere il “kairòs” di questo tempo. Ciò che da anni andiamo dicendo e che continuiamo a leggere nei documenti ecclesiali a vari livelli, è tempo che si traduca in scelte operative. Secondo la parola di Gesù, non è più tempo di mettere pezze nuove su un vestito vecchio. Questa insensata modalità non ha fatto altro che lacerare del tutto il tessuto ecclesiale e segnare la definitiva presa di distanza della nostra gente dalla comunità ecclesiale. Occorre realizzare la tunica del Signore Gesù, intessuta tutta d’un pezzo, di grande valore. Non più  rattoppi, è tempo di nuove tessiture per intrecciare insieme con arte la trama della vita della gente, con l’ordito della Parola del Vangelo.

 

2. Riprendere il cammino con l’inizio dell’anno liturgico

 

Da tempo il nostro vescovo ripete che l’anno pastorale inizia con la prima domenica di avvento, ma tutto fin ora è andato avanti come sempre.

Iniziare l’ “anno catechistico” in concomitanza con l’inizio dell’anno liturgico mette subito in sintonia l’esperienza che proponiamo ai nostri ragazzi con il dipanarsi degli eventi della nostra salvezza che riviviamo nelle tappe dell’anno liturgico. E’ come invitare i nostri ragazzi a camminare passo dopo passo assieme al Signore Gesù, seguendo le sue orme, rivivendo insieme con lui la sua esistenza salvifica.

Le settimane che vanno dall’incontro pastorale alla festa di Cristo Re, saranno per tutte le comunità parrocchiali, quest’anno e in avvenire, il tempo opportuno per “vedere, ascoltare, riflettere, … per discernere”. Sarà tempo nel quale presbiteri, diaconi, religiosi/e, operatori pastorali, si lasceranno interpellare dalle istanze della storia e degli uomini alla luce della Parola di Dio e quindi programmare con efficacia l’essere e l’agire della comunità ecclesiale in mezzo alla comunità degli uomini. Sarà tempo da dedicare alla formazione permanente di tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nel servizio pastorale, in modo particolare i catechisti.

 

3. La scelta dei piccoli gruppi

 

Gli eventi comunitari si vivono tutti insieme. L’attuale situazione non ce lo permette. Si può fare di necessità virtù, iniziando a piccoli gruppi, e scaglionando l’inizio del catechismo in orari e/o giorni diversi. Questo faciliterebbe il prendersi cura dei rapporti interpersonali, valorizzando le singole persone, dando tempo per l’ascolto e creando un clima meno formale e più domestico. La scelta dei piccoli gruppi, non confligge con la necessità di essere tutti insieme “una cosa sola”, ma vi confluisce e deve confluirvi con gradualità.

 

4. Rimodulare luoghi e tempi

 

Stare “insieme nello stesso luogo” è una delle caratteriste che contraddistinguono l’esperienza cristiana, anzi è la premessa per l’avvento dello Spirito. Saper scegliere e vivere gli spazi non è cosa di secondaria importanza. La necessità del distanziamento fisico che la pandemia ci impone può mutarsi in una rinnovata presa di coscienza dell’importanza dello spazio nel comunicare e vivere l’esperienza della fede. In genere nelle nostre parrocchie non abbiamo a disposizione spazi ampi e diversificati. All’aula di catechismo è possibile affiancare anche altri spazi per iniziare all’esperienza di fede: la chiesa parrocchiale, le chiese succursali, gli spazi all’aperto quando possibile (il campo sportivo, i giardini pubblici, il cortile dell’oratorio, un prato), la sala giochi, la palestra, la sede di qualche associazione, la casa delle suore o del parroco, o quella di qualche famiglia accogliente. Lavorando in piccoli gruppi questo potrebbe essere del tutto fattibile.  L’attuale necessità potrebbe essere l’avvio di un nuovo stile cui tutti presbiteri e operatori pastorali, devono essere formati.

Anche la scadenza temporale e le modalità degli incontri potrebbero variare, passando da, “tutte le settimane, alla stessa ora, nello stesso luogo”, a tempi più agili e diversificati, alternando l’incontro di catechesi con la partecipazione alla Messa domenicale, con una visita ad un luogo spiritualmente significativo, con una attività culturale, con la visione di un audiovisivo, con un momento di riflessione e di condivisione in famiglia, o incontrando un testimone della fede. Questo presuppone di affiancare ai catechisti figure educative di supporto e di sostegno, magari giovani animatori, ragazzi/e disponibili a questo servizio. Sarà saggio modulare i tempi del catechismo con quelli della scuola i cui ritmi sicuramente subiranno mutazioni. Uno sguardo attento saprà approfittare del tempo in cui i ragazzi saranno a casa per la didattica a distanza e in quei momenti farsi presenti e offrire opportunità di incontro.

 

5. Non di sola dottrina vive la fede

 

La fede non va solo annunciata, trasmessa, spiegata, ma anche celebrata e vissuta.

Celebrare la fede nell’azione liturgica, permette all’annuncio di diventare evento di salvezza per tutti coloro che lo celebrano. La liturgia è vera e propria esperienza di fede, è incontro con Dio e contatto con il Signore che si può vedere, ascoltare, gustare, toccare e del cui profumo ci si può inebriare.

Vivere la fede nella testimonianza della carità è dare carne al vangelo, è sperimentare come l’amore possa cambiare la propria vita e quella degli altri; è toccare con mano la forza performativa della fede. E’ necessario che i nostri ragazzi possano rendersi conto che la fede non è questione di belle parole, di ragionamenti, di norme di buon comportamento, ma esperienza che dischiude alla bellezza e alla profondità della vita nell’incontro col Cristo e con ogni uomo. Pertanto catechesi, liturgia e carità vanno vissute insieme per cogliere la profondità della vita cristiana in pienezza.

La celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana in tempi di emergenza pandemica

La celebrazione dei sacramenti della fede è per sua natura un evento comunitario. La limitazione dei numeri dei partecipanti dovuta alla pandemia è lesiva della dignità della celebrazione e pone in essere liturgie mortificate e mortificanti, dove il segno comunitario e il clima di festa sono concretamente compromessi.

In modo particolare la celebrazione eucaristica, sacramento dell’unità, richiede la presenza della totalità dei fedeli affinché tutti siano una sola cosa in Cristo e attorno all’unico pane la molteplicità dei fedeli diventi un solo corpo. Ancor prima della pandemia il frazionamento e la disgregazione dei fedeli era dovuta alla moltiplicazione delle Messe senza che ci fosse una vera necessità; dalla partecipazione ai sacramenti in modo del tutto individuale come espressione di devozione personale con uno scarso contatto con la comunità. Prova ne era, non di rado, il dislocarsi dei fedeli nell’aula liturgica a macchia di leopardo, a debita distanza gli uni dagli altri.

Non sembra che la possibilità di ritornare a celebrare abbia segnato un significativo ritorno della nostra gente all’eucaristia domenicale. Adoperarsi affinché l’eucaristia torni ad essere fonte e culmine di tutta la vita cristiana è impegno mai concluso, è approdo mai da dare per scontato. Parlare di prima comunione o meglio di prima Eucaristia significa far passare la convinzione che l’Eucaristia viene prima di ogni altra cosa.

Le comunità che volessero celebrare in questo periodo le prime comunioni e le cresime, devono tener presenti alcuni aspetti che non sono di secondaria importanza.

 

1. Le prime comunioni

 

Dover oggi celebrare le prime comunioni, là dove non fosse ritenuto possibile attendere tempi più propizi, significa essere obbligati a celebrazioni in piccoli gruppi. Questa possibilità non deve far smarrire la tensione verso la celebrazione comunitaria che è la forma naturale e non deve dare l’impressione di un ritorno a celebrazioni “private” che snaturano l’essenza del sacramento.

Come il corpo eucaristico di Cristo sta al centro dell’esperienza cristiana, così anche il corpo reale di Cristo che è la comunità credente. Da essa tutto ha principio ad essa tutto confluisce. Ravvivare il senso di appartenenza alla Chiesa e vivere la Chiesa come comunità di fratelli è sfida da accogliere oggi per dare futuro e identità e rilevanza alla Chiesa di Cristo.

Fatti salvi i principi di cui sopra, la programmazione di un “calendario diffuso” delle celebrazioni delle prime comunioni in piccoli gruppi, in date diverse, potrebbe essere una opportunità affinché queste celebrazioni non siano riservate ad amici e parenti dei comunicandi, ma siano vissute all’interno della celebrazione eucaristica comunitaria, dove tutta la comunità parrocchiale si ritrova convocata attorno alla Parola e al Pane eucaristico e sostiene e accompagna con la propria presenza e la propria testimonianza l’esperienza di fede dei più piccoli della comunità.

 

2. Le cresime

 

La celebrazione del sacramento della confermazione, durante la quale Dio conferma nel suo amore fedele, mediante l’effusione dello Spirito, i suoi figli rinati nel battesimo, esprime anche in modo visibile l’inserimento dei cresimandi nella Chiesa locale al servizio della quale lo Spirito li pone. E’ per questa ragione che il sacramento della confermazione è riservato al vescovo. L’attuale emergenza sanitaria potrebbe, in questo caso, rivelarsi una opportunità.

Prevedendo di spostare la celebrazione delle cresime nel prossimo tempo di pasqua, nella speranza che la situazione sanitaria possa nel frattempo migliorare, si potrebbe pensare a celebrazioni che coinvolgano più parrocchie vicine, scegliendo spazi più grandi eventualmente anche all’aperto. In questo modo, fatti salvi i comportamenti virtuosi a livello di prevenzione della pandemia, si darebbe risalto al valore e all’aspetto ecclesiale più ampio che il sacramento della cresima porta con sé; sarebbe occasione di incontro e di comunione tra i fedeli di più comunità, mostrando come la Chiesa non ha i confini ristretti della propria parrocchia; sarebbe anche di stimolo per una pastorale d’insieme, e per far maggiormente risplendere la comunione ecclesiale e le relazioni interpersonali tra i fedeli. Ovviamente spetterà ai vicari di zona, ai parroci e ancor prima al vescovo valutare la fattibilità di questa proposta che potrebbe rivelarsi feconda anche per l’avvenire.

Là dove non fosse possibile realizzare questa proposta e si volesse continuare a celebrare le cresime nelle singole parrocchie, adottare la scelta dei piccoli gruppi è inevitabile. In questo modo le celebrazioni si moltiplicheranno anche perché si sommeranno quelle di due anni. In questo caso si potrebbe coinvolgere nell’amministrazione delle cresime il pro-vicario generale, e alcuni tra i vicari di zona o i responsabili degli uffici di curia. Il vescovo ne valuterà l’opportunità.

Conclusioni

“Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”.

Le indicazioni suggerite, hanno l’unico scopo di aiutare la nostra Chiesa a non sprecare le opportunità pastorali che, se pur in modo doloroso, l’attuale pandemia ci offre.

Il servizio diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi, offre le presenti indicazioni ai vicari di zona, ai parroci e agli operatori pastorali perché possano farne oggetto di sapiente riflessione e in esse trovino sostegno e aiuto per scelte coraggiose e condivise.

Rileggere insieme, le lettere pastorali del nostro vescovo: L’atto di fede. 27 Novembre 2016; La Domenica andando alla Messa. 10 Novembre 2019; Come gli uccelli del cielo. 31 maggio 2020, alla luce del tempo sospeso che abbiamo vissuto e del tempo incerto che stiamo vivendo potrebbe arricchire la nostra riflessione e aiutare a ritrovare il filo rosso del percorso pastorale che in questi anni il vescovo ci ha indicato per dare incisività al nostro essere credenti e al nostro impegno ad edificare nella fede, nella preghiera e nella carità, le nostre comunità cristiane.

Il servizio diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi, sito a Rieti presso palazzo San Rufo, aperto il martedì e il giovedì dalle 9 alle 12, può mettere a disposizione di chiunque ne facesse richiesta indicazioni più concrete e percorsi strutturati, materiale per l’evangelizzazione, la formazione, la catechesi, come pure risorse umane disponibili a sostenere e coadiuvare il ministero dei parroci e dei loro collaboratori.

Il servizio diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi