Continuando a dire con parole “nostrane” in cosa consiste la santità, in questo secondo contributo a servizio dei confratelli e delle consorelle dei nostri pii sodalizi, possiamo senza alcun dubbio dire che il santo è uno che crede di non poter fare a meno di Dio.
Molti oggi pensano che la presenza di Dio sia un di più non necessario, né tanto meno indispensabile. Le cose scivolano via lisce anche senza di Lui. Che ci sia o non ci sia non fa alcuna differenza. Se le cose devono andare male prenderanno una brutta piega anche con Lui: quanti problemi, quante difficoltà, quante disgrazie, quante catastrofi e lui non c’è, e se c’è e come se non ci fosse. La sua presenza è inutile e qualcuno comincia a pensare che sia inutilmente ingombrante. Molti si sono organizzati per fare a meno di lui o a sostituirlo con qualcosa di più immediata fruibilità. Insomma vivono come se Dio non ci fosse, e non sembrano poi stare così male.
Chi fa parte di una confraternita invece, come ogni buon credente, è convinto non solo che non si possa fare a meno di Dio, ma che lui, lui stesso in prima persona, non può fare a meno di Dio. Sente che senza Dio la sua vita non avrebbe significato, gli mancherebbe il bene più prezioso, non perché Dio gli risolve i problemi o lo mette al riparo da ogni sorta di disavventura, ma perché sente nel profondo del cuore che Dio è la forza interiore che gli permette di affrontare la vita anche nei momenti più oscuri; sente che Dio è la luce che costantemente rischiara il suo cammino; è una gioia intima anche dentro le vicende più angoscianti. No! Di Dio crede proprio di non poter fare a meno: è come l’aria che ti permette di respirare, come il cibo che ti permette di nutrirti, come l’acqua che disseta. Se credo penso che Dio è parte di me, mi appartiene, come io appartengo a lui. Non è qualcuno da tirare in ballo di tanto in tanto: senza di lui non potrei vivere.
Quante belle parole, ma praticamente cosa vuol dire non poter fare a meno di Dio?
Significa sentire il desiderio di cercarlo, di incontrarlo, di gustare della sua presenza e della sua amicizia, di entrare in dialogo con lui.
Per fare in modo che tutto questo non sia solo un pio desiderio, la Chiesa ci indica quattro vie:
1. Tenere in mano il Vangelo, leggerlo, meditarlo, pregarci sopra. Come si potrebbe conoscere Dio senza conoscere il Vangelo? Per poter leggere il Vangelo basta saper leggere! Magari leggere con attenzione e insistenza. Pian piano le parole diventano luce, le parole diventano eloquenti per me, come se fossero state scritte per me. Queste parole lette cominciano a leggermi dentro, mi aiutano a capire chi sono, come sono fatto, che cosa Dio si attenda da me. Queste parole mi mostrano i miei punti di forza, le mie capacità, i doni di cui Dio ha arricchito la mia vita, e le inevitabili fragilità da deporre nel cuore misericordioso di Dio. Senza il Vangelo tra le mani, nella mente e nel cuore, credere di essere cristiani è solo una pia illusione.
2. Partecipare attivamente all’Eucaristia domenicale. I primi cristiani dicevano che senza l’Eucaristia domenicale non potevano vivere e per questo erano disposti anche a sacrificare la propria vita in tempo di persecuzioni. Se uno pensa davvero di non poter fare a meno di Dio, non può pensare di vivere senza l’Eucaristia domenicale. Sì, stiamo parlando della Messa che non è faccenda dei preti o cosa di altri tempi. Non è neppure l’ “obolo” da dare a Dio nelle grandi feste, o il prezzo da pagare in occasione di certe “cerimonie” cui non si può non prendere parte: dai battesimi, ai matrimoni, ai funerali, ecc. La Messa di tutte le domeniche non è un obbligo, un precetto, ma una scelta, una gioia, un bisogno interiore. Nell’Eucaristia Dio si dona, mi parla, mi nutre. Nell’Eucaristia la comunità dei credenti si edifica in un solo corpo. Nell’Eucaristia ci viene data possibilità di sentirci in comunione con l’universo intero, con tutti gli uomini anche con coloro che hanno varcato la soglia dell’eternità. Nell’Eucaristia ciascuno può sperimentare quanto vale per Dio, il quale dona la sua stessa vita per i suoi figli. Può uno che crede di non poter fare a meno di Dio, fare a meno dell’Eucaristia domenicale? Certo che no! Ogni confratello dovrebbe saperlo bene!
3. La preghiera personale quotidiana. È il terzo strumento che la Chiesa ci offre per poter vivere la nostra vita in compagnia di Dio e dargli un posto nelle nostre giornate.
È proprio quella che ci hanno insegnato da piccoli: la preghiera della mattina e della sera per iniziare e concludere la giornata sotto lo sguardo di Dio, per viverla come dono e in rendimento di grazie. Crescendo quelle formule semplici ed elementari potrebbero essere sostituite con preghiere più personali, spontanee, che sgorgano dal cuore, che portano dentro la vita con i suoi progetti, le speranza, le paure, i fallimenti. La preghiera personale può essere strutturata in mille modi diversi. Mi piace suggerirne una casereccia, fatta con gli ingredienti che si hanno a disposizione. E’ la capacità di trasformare ogni occasione della vita quotidiana, ogni incontro, ogni incombenza in invocazione, o supplica, o rendimento di grazie: apro gli occhi al mattino: lodo il Signore per il dono di un nuovo giorno; comincio un lavoro: chiedo a Dio la forza necessaria; ho una preoccupazione: invoco il Signore perché mi stia vicino; ricevo una bella notizia: ringrazio il Signore per quanto di buono è accaduto; commetto un peccato: chiedo perdono; guardo negli occhi i miei cari e in essi vedo lo splendore dell’amore di Dio. La vita si fa preghiera, la preghiera è vita.
4. Uno stile di vita conforme al Vangelo. Come si sa, le parole non bastano. Il credente sa che non può vivere come tutti gli altri: il suo modo di pensare, le sue scelte, i comportamenti devono avere il sapore del Vangelo. Uno che pensa di non poter fare a meno di Dio non può pensare solo a se stesso; non può credere che i soldi risolvono tutto; non può illudersi che basta la salute; non può affermare che è meglio che ciascuno viva a casa propria, tipo “ognun per sé e Dio per tutti”; non può vivere l’amore solo finché dura; non può essere irresponsabile o superficiale o menefreghista. Il credente si contraddistingue per la gentilezza del tratto, per il linguaggio corretto e pulito, per la capacità di ascolto delle ragioni dell’altro, per la disponibilità alla collaborazione, per il buon umore e la speranza che diffonde. Insomma in tutto quello che pensa e che fa, cerca di essere quanto più somigliante possibile al Signore Gesù. Non è poi così difficile, basta domandarsi: Gesù penserebbe così?; Gesù parlerebbe così?; Gesù si comporterebbe così?
Chi è entrato a far parte di una confraternita vuole vivere così. E così sia!
Padre Mariano Pappalardo, direttore Ufficio diocesano Evangelizzazione e Catechesi.