Continuando a dire con parole “nostrane” in cosa consiste la santità, questa volta azzardiamo un altro possibile suggerimento:
Un santo è “uomo di comunione”: essere oggi uomini di comunione è una sfida non da poco.
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La comunione è atteggiamento inclusivo
L’individualismo la fa da padrone: “Ognun per sé e Dio per tutti”.
Ciascuno si ritiene appagato quando ha raggiunto i propri obbiettivi personali, o tutt’al più quelli della propria famiglia o del circolo ristretto dei suoi rapporti. Gli altri, quelli di fuori, li sentiamo estranei, li rileghiamo tra le nebbia della nostra indifferenza, sono poco visibili, per nulla interessanti. Chi non fa parte del ristretto gruppo che ci interessa è escluso dai nostri contatti, tagliato fuori, non ci appartengono. Occuparci di loro non è affar nostro, non tocca a noi.
Spesso questi, o meglio quegli altri, quelli “dell’altro mondo”, li guardiamo pure con sospetto, su di loro si scaglia il nostro giudizio, li riteniamo la causa di tutti i mali possibili e immaginabili.
Un uomo di comunione vive un atteggiamento inclusivo, non distingue “io-tu”, “noi-loro”. Per l’uomo di comunione esiste solo il “Noi”, tutti sono inclusi in questo “noi”, tutti fanno parte del “noi”, tutti sono dei nostri.
Con tutti si è disponibili al dialogo, alla comprensione. A tutti si concede diritto di parole, a tutti è riconosciuta la dignità di poter essere ascoltati, a tutti viene offerta la possibilità di poter avere una idea migliore della nostra.
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La comunione è atteggiamento unitivo
C’è sempre chi gioca allo sfascio. Chi semina zizzania. Chi si diverte a dividere, a mettere gli uni contro gli altri, che insinua sospetti, chi sparge calunnie. È un atteggiamento antico quanto il mondo “divide et impera” dicevano i nostri padri e in questo non possiamo essere orgogliosi di loro.
Un santo oggi si impegna, come diceva papa San Giovanni XXIII, a cercare quello che unisce piuttosto che quello che divide. L’evangelista Giovanni afferma che Gesù è venuto “per unire tutti i figli di Dio”, e l’autore degli atti degli apostoli afferma che tutti i credenti “erano un cuor solo e un’anima sola”. Il tratto distintivo della Chiesa primitiva era proprio questo: essere animati dall’amore, sentirsi come un solo corpo. A tutti quelli che partecipavano all’Eucaristia, l’apostolo Paolo diceva: “Poiché c’è un solo pane, voi siete un solo corpo”.
“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” è il comandamento nuovo lasciatoci dal Signore Gesù. L’unità è il sommo bene. La ricerca e la custodia dell’unità è l’energia divina in noi, e il segno più autentico che siamo di Cristo. Il maligno e i suoi seguaci dividono, separano, disgregano. L’assenza di comunione è il segno più evidente che si appartiene al maligno e si fa il suo gioco. Il “fumo di satana” entrato nella chiesa di Dio, come ebbe a dire Papa San Paolo VI, è il fumo della divisione, è l’atteggiamento per cui tutto diviene motivo di contrasto e addirittura le feste nelle nostre parrocchie, che dovrebbero essere momenti di gioia e di condivisione, non di rado diventato occasioni per litigate colossali. E il demonio ha così affumicato tutto.
Spesso si litiga per sapere chi ha torto e chi ha ragione. La ragione è sempre dalla parte di chi cerca l’armonia e la pace. Un confratello, che vuole essere uomo di comunione, deve portare ovunque rispetto, pace e serenità.
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La comunione esige il perdono
Motivi di dissapori ce ne saranno sempre, ce ne saranno ovunque. I diversi caratteri e le sensibilità personali spesso causano conflitti, discussioni. Se non si è in grado di porvi un argine, possono crearsi spaccature insanabili, strappi che non si riesce a ricucire. E’ necessario essere persone tutte d’un pezzo, santi per l’appunto, per non lasciare nulla di intentato per rimettere insieme i cocci. Per questo è indispensabile imparare l’arte del perdono. Con chi si ha avuto motivo di discussione, la bibbia suggerisce di ritornare in pace prima che si faccia notte: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira”. Chi sa perdonare non è il più debole, ma il più forte.
Un omuncolo sarà sempre succube del suo rancore, un vero uomo sa gettarsi alle spalle le possibili offese ricevute e guarda avanti, non lascia che il passato pesi come zavorra sulla sua vita. Quante volte nelle nostre confraternite ci sono situazione che svelano come si è inchiodati al palo del risentimento, prigionieri del passato, intorbiditi da pensieri pieni di livore. Il rancore paralizza. Il santo cerca sempre e ad ogni costo la riconciliazione e aiuta tutti a riprendere il cammino con serenità.
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La comunione è collaborativa
Una delle prime verità che un confratello deve imparare e mettere in pratica è che la Chiesa è comunione. Nessun organismo nella Chiesa vive da solo, isolato o svincolato dagli altri. I vari organismi della Chiesa sono vasi comunicanti. Un’unica linfa scorre dalla radice ai tralci dell’unica vite come ricorda Gesù. Il tralcio che non è legato alla vite, secca, muore e sarà tagliato e bruciato nel fuoco.
Le nostre confraternite devono brillare per la loro capacità di sentirsi parte di un tutto, come tasselli di un unico più vasto mosaico, come membra di un unico corpo. Tutto questo si concretizza nella capacità di esprimere una mentalità e un atteggiamento collaborativo, generoso e rispettoso nei confronti delle altre confraternite, delle altre associazioni ecclesiali e laiche, della comunità parrocchiale, della Chiesa diocesana.
Collaborazione a volte, soprattutto nei riguardi della parrocchia e della diocesi significa obbedienza, capacità di comprendere quale sia il proprio compito, il proprio posto e non prevaricare con presunzione e arroganza.
Se non si è in grado o peggio non si vuole tessere questa trama di relazioni positive, la confraternita cessa di essere un organismo vitale e vitalizzante, e diviene un tumore che porterà sofferenza e morte.
Includere, unire, perdonare, collaborare: un confratello sa che queste sono parole d’ordine per lu. Nel momento in cui ha chiesto di essere aggregato alla confraternita, ha deciso di vivere così. E così sia!
Padre Mariano Pappalardo, direttore Ufficio Diocesano Evangelizzazione e Catechesi