Nel nostro itinerario attorno alla bella realtà delle confraternite abbiamo già affrontato i primi due scopi che danno ragion d’essere ad una confraternita: il desiderio della santità e la promozione del culto pubblico.
Veniamo ora al terzo: la testimonianza della carità.
Fin dall’inizio uno dei punti di forza che ha decretato il successo storico delle confraternite è stata la loro attenzione al sociale, ai poveri, ai bisognosi, ai pellegrini, impegnandosi a far fronte ad ogni tipo di indigenza e a sovvenire chiunque, per qualunque ragione si trovasse in difficoltà.
È stata un’opera animata non solo da tanta buona volontà, ma anche di attenzione creativa: la creazione di ospedali per i malati (gli appestati, i lebbrosi), di ospizi per i pellegrini; provvedere ad una onorevole sepoltura per i nulla tenenti, l’organizzazione dei monti di pietà per chi si trovava in difficoltà economiche; la distribuzione di viveri e di vestiario per le famiglie meno abbienti; il riscatto dei cristiani catturati e resi in schiavitù dai mussulmani. Carità spicciola, pratica, per la quale non serviva grande cultura ma solo un buon cuore. La carità educativa, quella acculturata: scuole, università, formazione, ecc, era appannaggio dei grandi ordini religiosi.
Questa opera benemerita ha lasciato segni indelebili nella società, la cui eco è arrivata fin a noi.
Tutto questo non può essere solo un bel ricordo del passato.
Ogni confraternita ha il dovere, anzi deve farsene un punto d’onore, di continuare questo impegno nelle opere di carità. L’odierna situazione socio-economica, l’emergenza di vecchie e nuove forme di povertà, interpella ancora oggi i credenti e il grido dei poveri non può non trovare ascolto da parte di chi dice di voler vivere il vangelo.
Le confraternite, almeno quelle più numerose, più attive e vivaci, non possono trascurare questo aspetto.
È triste dover constatare come a volte le nostre confraternite sono preoccupate del folclore e del divertimento e poco dei poveri, come si spende del denaro per cose futili, effimere e poco necessarie, distogliendo lo sguardo dai veri bisogni. Non si può contribuire ad una società dello spreco e ad una cultura dello scarto, mentre ci sono persone che mancano del necessario.
Non può essere che le confraternite e le feste da loro organizzate vengano ricordate per le belle luminarie, i fuochi d’artificio, le serate danzanti, gli stand gastronomici di specialità di ogni tipo, e non per gesti di carità e di attenzione verso chi è nel bisogno. Non dico che non si debbano organizzare le iniziative ricreative, o di socializzazione o tutto quello che contribuisce a creare un clima di festa, credo però sia bene ribadire che una parte del ricavato di tutte le iniziative dovrebbe essere devoluta per finalità benefiche. Quante situazioni di povertà nei nostri territori cui farsi carico, quante iniziative caritative e sociali della nostra chiesa diocesana da sostenere, quante associazioni di volontariato da valorizzare, quanti missionari da non lasciare soli. C’è solo l’imbarazzo della scelta.
La testimonianza della carità diviene sempre più la cartina di tornasole della nostra fede. È la concreta quotidianità della fede, racconta della sua autenticità, dà carne al vangelo perché non resti solo un insieme di belle parole. La fede per non sentire di muffa e di stantio ha bisogno del profumo della carità. Essa, la più grande tra le virtù teologali, come insegna l’apostolo Paolo, deve interpellare i singoli confratelli e le confraternita nel loro insieme. Nessuno pensi che è compito di qualcun altro. È difficile, se non proprio raro, trovare nei bilanci delle nostre confraternite la voce carità in uscita.
Di offerte le riceviamo tante, non ne diamo quasi mai. Non saranno i nostri santi patroni ad accoglierci in paradiso, ma i poveri che abbiamo aiutato. Ce lo ricorda il Signore Gesù quando esorta i suoi uditori a farsi degli amici attraverso la ricchezza perché questi, i bisognosi, li accolgano nelle dimore eterne.
Certo non è necessario trasformare le confraternite in organizzazioni non governative a servizio delle emergenze umanitarie, ma la testimonianza della carità è imprescindibile. Senza l’attenzione alle necessità dei poveri le nostre confraternite perderebbero la propria fisionomia, smentirebbero gran parte della loro storia, e vanificherebbero una delle finalità fondamentali che le ha poste in essere. Ogni confratello nell’atto di aggregazione al proprio pio sodalizio, ha deciso di mettersi in gioco nell’esercizio generoso e concreto della carità.
Ha deciso di vivere così. E così sia!
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