RiData, rimboccarsi le maniche per una lettura pastorale dei dati

Ragionare sui dati con attenzione antropologica. È in questa chiave che padre Mariano Pappalardo ha chiarito il motore profondo dell’iniziativa RiData: «Dietro ai numeri ci sono persone, storie». Raramente, però, le cifre parlano delle esperienze dei singoli: i dati raccontano soprattutto ciò che è collettivo e dunque aiutano alla scoperta del bene comune e a superare il male dell’individualismo. Letta così, l’esperienza di RiData suggerisce un modo di stare al mondo in modo partecipato, «osservando, comprendendo, interessandoci, sentendoci responsabili, cercando di trovare le ragioni della speranza, cercando di essere propositivi e soprattutto di impegnarci», ha detto il religioso rimboccandosi le maniche.

Nulla è estraneo al Vangelo

Il riferimento è all’incipit della Gaudium et Spes, dove si parla della «comunità dei cristiani» che «si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia». Quella promossa dalla Chiesa di Rieti è l’idea «di una esperienza, di una ricerca, di un confronto» che «ha a che fare con il Vangelo» perché non c’è ambito umano che resti escluso dalla mensa cristiana. A dispetto del rischio di chiusura in sé dell’esperienza di fede, quello offerto da RiData è un dialogo con il mondo e la società. Ma richiede un cambiamento di mentalità e di stile, un passaggio «dal monologo al dialogo, dallo scontro al confronto, dal privato al pubblico». E poi dal «diabolico al simbolico», cioè da ciò che divide, allontana, separa, a ciò che unisce e crea legami. RiData è un invito fatto alla Chiesa per spostare il punto di vista «dai margini alla periferia». In un tempo in cui sembra stare al margine della vita sociale, in anni in cui «non conta più niente», la Chiesa può «riscoprire la bellezza della città, il valore dello stare in periferia», la possibilità di mettere al centro non se stessa, ma «ciò che la società ha messo hai margini, cominciando dai poveri». Un modo virtuoso di passare dal sacro al profano, di riscoprire che «Dio si manifesta sempre nel quotidiano, nel lavoro, nelle situazioni di ogni giorno». Si sfugge così al pericolo di fare del sacro «un modo per emarginare Dio», per imprigionarlo in uno spazio predefinito.

Dal convincere al coinvolgere

«Profano vuol dire stare dinanzi al volto: al volto di Dio, stare di fronte alla facciata della chiesa, cioè entrare in dialogo, guardarsi negli occhi». Un “interfacciarsi” che richiede un altro passaggio: quello «dal convincere al coinvolgere». Perché oggi «tutti vogliono convincere qualcuno di qualcosa», invece «è più importante coinvolgere in progetti che siano condivisi e condivisibili». Un approccio che per padre Mariano conduce a un cambio di marcia anche in campo pastorale, e avvicina a una teologia che parte dalle situazioni in cui l’uomo vive quotidianamente. «C’è bisogno di dire il Vangelo con le parole che gli uomini usano oggi, altrimenti non riusciamo a dialogare», ha aggiunto il coordinatore del servizio per l’evangelizzazione, facendo notare che termini come “convertire”, sono scivolate dal vocabolario religioso a quello di internet. Ma andando a stringere la sfida per la Chiesa è tutta qui: una ricerca di sinergia con le persone e uno stare nella realtà con «piedi a terra, occhi al presente, testa e cuore rivolti ai giorni che devono venire».